Dedicato a tutte le persone che mi hanno fatto del male.

 

Prologo

Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà.

[Antoine de Saint-Exupery]

Tutto è iniziato il trentun ottobre, la notte di Halloween. Doveva essere un giochino goliardico, niente di più, invece si è trasformato in… Non corriamo troppo, lasciate che prima vi illustri la situazione generale.

Avevo litigato con Aristide per colpa di Matteo, il super sexy cantante del localino in cui vado sempre quando sono depressa, e la seratona in maschera non era finita come immaginavo. Centotrenta euro di corsetto “vamp sensuale”, con capacità stringi-vita di quindici centimetri, sprecati.

Avevamo programmato questa festa in castello – castello veramente infestato a detta degli organizzatori, anche se quei due ventenni strafatti non mi avevano mai dato troppa fiducia – più serata alcolica “finché morte non vi separi” un mese prima. Un mese!

Per una come me, con l’istinto organizzativo di un cameriere alle prime armi davanti a un ristorante gremito e la pigrizia di un bradipo in vacanza, era un record. Ovviamente io e Gessica avevamo calcolato tutto per un solo scopo: invitare anche Matteo. Ah, Matteo. Moro, occhi verdi, voce roca, pizzetto da mordicchiare. Non divaghiamo. Dicevo, l’idea era quella di folleggiare in compagnia fino a quando, abbastanza sbronzi, non avrei colto l’occasione per sbattere, con classe si intende, il mio décolleté in faccia all’uomo di cui ero cotta da tre anni. Albergo adiacente alla struttura prenotato, camere, ovviamente, divise, ceretta fatta, parrucchiera, manicure e gonna accomodata da mamma. Quella santa donna era riuscita a trasformare una quarantadue comprata per errore online – okay, non per errore, ma era troppo carina! – in una cinquanta abbondante nel giro di tre giorni grazie alle sue arti magiche. Ero semplicemente perfetta, la rappresentazione di Malefica con trenta – quaranta – chili in più, ma con la spensieratezza di una pin-up anni Cinquanta. Avevo addirittura le lenti a contatto colorate che, per l’occasione, sostituivano i miei occhiali a fondo di bottiglia. In sostanza, ero cieca. Cieca come una talpa, ma con la visione ovattata in tinta sangue.

Il primo, tragico problema della serata era stato proprio quel maledetto corsetto. Ne avete mai indossato uno? Se siete uomini certamente no. Be’, ve lo dico io: è l’inferno. Venti stecche di acciaio si conficcano in ogni rotolino di ciccia non appena si ha la malaugurata idea di piegarsi. E sapete come si arriva a un castello dall’altro capo della regione? In auto, comodamente piegati. Non potevo muovermi, non potevo guidare e, soprattutto, non riuscivo a respirare. Colpa di Billa e Silla, le mie alleate vincenti nella caccia agli uomini, ma decisamente nemiche giurate se indossi una corazza contenitiva. Inutile dire che Aristide, alla guida della Panda, continuava a guardarle al posto della strada, con Gessica, dietro di noi, quasi accoppata dalle risate.

In qualche modo arrivammo vivi al fantomatico castello, tra zombie malriusciti, infermierine sexy e diavolesse arrapate. Tra i tanti mostri, trovai subito lui: costume da Edward Cullen, ovvero torso nudo con tartaruga a vista incipriata di glitter. In quel momento la pressione delle stecche scomparve, il bordo della gonna strisciato sulla fanghiglia del parcheggio non ebbe più importanza e la voce dei miei amici svanì. Matteo, nonostante i denti da Dracula in plastica fatiscente e il rossetto sbavato per imitare il sangue, era la cosa più bella della serata.

Sistemai le mie due amiche, raddrizzai il mantello e le corna in testa – okay, le corna non erano state una grande idea – e volai da lui. Nella mia mente, come un film al rallentatore, mi vedevo tra le sue possenti braccia, un mix tra Rossella O’Hara e Bella Swan, sinuosa e filiforme, una strega amabilmente affascinante. Per un mese avevo immaginato la scena fin nei minimi dettagli, con tanto di imitazione delle voci per strada, mentre andavo in ufficio, con la gente ai semafori a darmi della pazza. Eh, Dio, lo imitavo proprio bene. Un lungo periodo di farneticazioni in cui, in ogni singola versione, finivo nella sua camera.

Io, Erika da Stufa, trentasei anni, quell’Halloween ho cambiato tutta la mia esistenza.

Oh. Volete sapere com’è finita con Matteo? Ma non è meglio lasciare l’immagine lì, con lui come un adone, mezzo nudo sul terrazzo del castello e con la sua leggiadra strega a corrergli incontro?

Vi basti sapere che Aristide non guardava Billa e Silla per un desiderio animalesco nei miei confronti, lui desiderava farsi crescere le tette, in senso letterale. Ed era tanto felice di coinvolgere Matteo in questo evento non per solidarietà nei miei confronti, ma per se stesso.

Il suo costume da lupo mannaro indiano ebbe un senso quando, di corsa, prese il mio posto, buttandosi tra le braccia di Matteo e confessando poi a noi, colleghe da oltre un anno, di essere gay.

Erano volate parole e alcool. Molto alcool. Troppo alcool. E, in effetti, tuttora non ho idea di come dalla festa arrivammo nell’albergo adiacente. Non ricordavo la strada, sapevo solo di essere nella camera con Gessica… e non con Matteo.

Per passare il tempo avevamo aperto il libro degli incantesimi trovato da lei in soffitta, probabilmente appartenuto a una bis-bis nonna, un tomo cupo che ben si abbinava al suo abito, e letto qualche invocazione finché, a mezzanotte precisa, la mia amica, del tutto sbronza, non era balzata sul letto per recitare sentitamente un rito. Nel titolo c’era la parola voodoo, ma le frasi erano in latino. Lo aveva letto Gessica vista la mia cecità momentanea – secondo il mio programma, per rotolare tra le lenzuola non erano necessari gli occhiali di riserva –, additandomi con una bambolina di pezza decorativa trovata in albergo.

Il tutto era lugubremente divertente, enfatizzato dai tuoni in lontananza, preludio di una tempesta coi fiocchi. A un certo punto, però, era saltata la luce. Avevamo urlato come due cretine, senza smettere di ridere, poi aveva urlato solo lei.

Io non potevo. La mia bocca era sovrastata da due labbra carnose, il corpetto avvolto da braccia calde, Silla e Billa solleticate da una cascata di capelli fluenti.

Appena la corrente era tornata, oltre la foschia rossa, avevo scorto un vichingo biondo dagli occhi azzurri avvinghiato a me. Completamente nudo. Okay, lo ammetto, i soldi del corsetto non sono stati proprio sprecati!

Questo è stato l’inizio della mia avventura.

 

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© 2016 Lorena Laurenti

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