Ladri di anima

Anteprima racconto

Lorena Laurenti

 

LA FINESTRA

Il mio sguardo si posava sempre lì. Durava soltanto una manciata di secondi, il tempo che il treno si fermasse e ripartisse. Le prime volte era accaduto di sfuggita, un’occhiata breve; i giorni successivi, invece, avevo calcolato la carrozza in cui fermarmi: la terza dalla locomotiva, il primo posto a destra. Quella era la posizione ideale per vedere con chiarezza le finestre.

Si trattava di una vecchia villa dallo stile rinascimentale, o almeno così mi pareva dalle bifore con arco a sesto acuto, cornice bugnata, colonnina e oculo in vetro scuro al centro. L’avevo studiato a storia dell’arte, un corso aggiuntivo al mio già fitto piano di studi. Ogni giorno percorrevo quel tragitto per raggiungere l’università, ma solo al ritorno potevo intravedere la casa oltre le fronde degli alberi. Se il treno allungava troppo la sua frenata, mi spostavo velocemente per raggiungere i posti più avanti. Stava diventando a tutti gli effetti un’ossessione: dovevo guardare in quella direzione, posare i miei occhi su quelle finestre. A nulla era servito far finta di niente, anche se mi concentravo su un libro, nell’istante in cui mi trovavo nei pressi della villa dovevo alzare lo sguardo, quasi una forza ancestrale mi attraesse.

Era iniziato tutto per caso, un giorno di pioggia. Avevo visto quella sagoma appena di sfuggita ma, da allora, era tutto diverso.

Giorni, settimane, mesi. La prima volta che avevo notato la finestra era primavera, adesso stava per finire ottobre. La mia vita scorreva veloce, inconsistente. Ogni gesto era pura routine. Mi alzavo, spazzolavo i capelli, sciacquavo con cura il lavandino, facendo attenzione a eliminare quelli caduti dalla ceramica bianca. Lavavo insistentemente i denti e tamponavo la pelle spenta con acqua di rose, nel tentativo di farle riacquistare un minimo di colore. Mentre ingoiavo a forza dello yogurt, fingevo di ascoltare le lamentele di mia madre, i consigli su un’alimentazione equilibrata e l’importanza delle ore di sonno.

Da quando erano ricominciate, le lezioni si susseguivano noiose, la penna scalfiva il foglio prendendo appunti inutili, sprecando preziose ore.

Poi arrivava quel momento. Il cuore mi sobbalzava in petto già due chilometri prima, il treno sussultava, i freni cigolavano in un suono fastidioso ma, allo stesso tempo, invitante. Ed eccola, la vetrata della villa mi appariva davanti, mi chiamava. Appoggiavo le mani sul finestrino, come una bambina davanti a un negozio di giocattoli. Mi sporgevo tanto da sfiorare il vetro con il naso. La superficie si appannava di poco e io annaspavo. Ogni giorno alla stessa ora l’ombra compariva e mi fissava.

Era stupido, me ne rendevo conto, completamente irrazionale. Non poteva distinguermi, così come non potevo focalizzarla io. Eppure la sentivo. Il treno ripartiva lentamente, allontanandomi da quella vista, subito la villa spariva e mi lasciava con il mio riflesso: due occhi azzurri spalancati, la bocca tremante e i lunghi capelli scuri sparsi sul viso.

 

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© 2013 Lorena Laurenti

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