Dedicato a chi, come me,
crede che i sogni
si possano avverare.

 

GELOSIA.

RANCORE.

MENZOGNA.

TRADIMENTO.

PASSIONI OSCURE CHE SI NUTRONO DI ANIMA,

ALIMENTANDO IL NERO VELO DELLE TENEBRE.

 

L’immagine mi inorridiva, eppure ero soltanto io, davanti a uno specchio. Tutto era esattamente dove lo avevo lasciato quel mattino: l’asciugamano gettato a lato del lavabo, il tubetto di dentifricio accartocciato e la cesta della biancheria sporca piena. L’ultimo giorno di banale normalità prima di dover combattere contro la morte.

Essere a casa, sulla Terra, con Shu di là, in giro per l’appartamento vuoto, era più inverosimile della battaglia affrontata, forse perché ogni evento si era svolto a ritmo incalzante. L’esercito di Moriat, i cunicoli, l’incontro con Dagon e la lotta con quella donna. Eccitazione, paura, dolore, sangue e infine silenzio. Una sequenza febbrile conclusasi con un unico, beffardo risultato.

Il marchio del sovrano era indelebilmente impresso sulla mia fronte. Mi sentivo sempre la stessa persona, ma qualcosa, nel mio profondo, era radicalmente cambiato.

Tastai braccia e gambe, contando le ferite. La più evidente era sullo stomaco, richiusa ma dolorante. Non rammentavo la lama trapassarmi né l’energia usata per curarmi. Quelle scene erano sfocate, difficili da riordinare, quasi non le avessi vissute in prima persona. Invece l’attenzione era centrata su un altro pensiero, ossessionante e ripetitivo, un’idea incapace di prendere forma. Ogni qualvolta tentavo di rifletterci, una fitta nebbia bianca confondeva i sensi.

Presi un respiro e scrollai il capo. Dovevo smettere di tormentarmi e lasciare le cose evolversi poco a poco. Aprii l’acqua nella doccia e attesi che la vecchia caldaia la pompasse calda prima di entrare; piccoli gesti quotidiani rimasti impressi. Il piatto bianco divenne rosso, ipnotizzandomi.

«Saira, pensi di fare notte lì dentro?»

Istintivamente mi appiattii contro il muro, le mani strette al petto. Impiegai qualche istante per capacitarmi della realtà: non era sangue fresco, e io ero al sicuro. I sogni lucidi erano finiti, mi trovavo sul serio nel mio appartamento. L’acqua lavava via incrostazioni passate assieme a momenti da scordare.

Ignorai il capogiro dettato da calore e debolezza e, al secondo richiamo, risposi: «Ancora cinque minuti. Sto bene, non preoccuparti.»

La serratura era aperta per abitudine. Shu sarebbe potuto entrare e sorprendermi, allora non avrei proprio saputo cosa fare. Tra noi si era instaurato un rapporto strano, superiore all’amicizia. L’ultima notte in tenda ne era la dimostrazione, e non avevo idea di come comportarmi in proposito.

«Non voglio farlo solo perché sei convinta di morire. Sarebbe molto semplice lasciarmi andare ora, ma io voglio godere di questo momento quando saremo entrambi al sicuro. Quando questa orribile storia sarà conclusa… quando non sarà solo per una notte.»

Il cuore perse un battito. Ogni singola parola era rimasta impressa nella mia testa. Restare da sola con lui mi intimoriva. Non capivo cosa provassi nei suoi confronti o cosa si aspettasse da me. A tutti gli effetti, quell’incertezza mi preoccupava più delle ferite fisiche.

«Sei da più di un’ora in bagno, quanto ti ci vuole per farti una doccia? Posso entrare almeno?»

«Non azzardarti!», sbraitai. «Tra un attimo ho finito.»

Il caos si spense, lasciandomi con questioni molto più tangibili: gestire il rapporto con Shu, comprendere che giorno fosse sulla Terra, trovare il cellulare e sentire le imprecazioni di Françoise in segreteria. Doveva essere passato all’incirca un mese, significava una bocciatura certa a scuola, la polizia allertata della mia sparizione e molti altri problemi da cui avrei voluto fuggire. Nulla in confronto a quanto lasciato su Ebdor.

Terminai di sciacquarmi e uscii. Al solito, lo specchio del bagno si appannò del tutto. Accesi il phon per mandare via l’umidità e iniziai a spazzolarmi i capelli, nell’attesa di rivedere il mio riflesso. Lo trovai sorridente. Nonostante tutto, ciò che osservavo mi piaceva. Per la prima volta ero soddisfatta di me stessa. Avevo portato a termine la missione e l’opera di Galdyer, Tri era bruciato e la mia anima tornata libera. Restava quel piccolo dettaglio in mezzo alla fronte da chiarire, c’era Aron da salvare e forse una schiera di nemici da battere, ma per quel giorno potevo respirare di nuovo.

Dopo essermi infilata una t-shirt oversize e un paio di shorts, finalmente mi decisi a uscire.

 

1

Saira – Terra – Nord Italia

Shu era insolito in quel contesto. Lo avevo immaginato tante volte a casa mia e in alcuni casi sognato, ma guardarlo giocherellare con i miei peluche faceva uno strano effetto.

«Nessuna chiamata», osservai perplessa, scorrendo le notifiche del cellulare. Due giugno, la stessa data in cui ero scomparsa. «Non è passato nemmeno un giorno», sillabai. «Com’è possibile?»

Shu aggrottò la fronte, incerto. «L’energia innescata dalla Profezia è stata enorme, tanto da cambiare il flusso di spazio e tempo. Nessuno di noi era certo di cosa avremmo trovato alla fine di questo viaggio, Lyen stessa mi ha allertato circa le conseguenze.»

«Vuoi dire che rischiavamo di trovarci in una specie di dimensione parallela, oppure proiettati in chissà quale futuro?»

Lanciò in aria la rana di pezza e, riafferrandola, scattò in piedi. «La differenza l’ha fatta la tua volontà. Tu volevi essere qui, tornare a quel mattino. Dovresti esserne felice: nessuno si è reso conto della tua assenza.»

Incrociai le braccia al petto e misi il broncio. «Mi sembra che tu la prenda un po’ troppo alla leggera.»

Un velo di preoccupazione gli oscurò il volto per un istante, ma subito reagì: «Ormai siamo qui, inutile rimuginarci su. Ho bisogno anch’io di una doccia e di cambiare i vestiti.» Mi scrutò da testa a piedi, dubbioso. «Hai qualcosa da prestarmi?»

«Prestarti come quella moto rubata? Cerco tra le cose lasciate da Satoshi.»

«Oh, avanti, l’ho usata solo per un’ora. Ormai l’avranno recuperata.» Mi arruffò i capelli e si diresse al bagno.

«Ti ricordo che qui non ci sono boschi dove fuggire», aggiunsi quando ormai era sparito dietro la porta; probabilmente non mi aveva sentito. Trovai dei jeans cargo e una camicia nera. Il mio fratellastro era più basso di Shu però, come me, portava abiti abbondanti, perciò sarebbero dovuti andargli bene. Era davvero bizzarro essere lì, toccare con mano oggetti che credevo non avrei più rivisto e non provare angoscia per il tempo trascorso. Posso concludere l’anno scolastico e passare le vacanze con Satoshi. Il pensiero mi sfiorò, aggredito immediatamente dalla realtà: dovevo tornare su Ebdor.

Attesi che Shu finisse di lavarsi seduta sul letto, immobile, con quel peso sullo stomaco. Quando alzai lo sguardo e me lo trovai di fronte, con un unico asciugamano attorno alla vita a coprirlo, impallidii. Piccole gocce d’acqua gli imperlavano il petto, e i capelli, umidi e spettinati, scendevano sul collo in ciocche diseguali. «I… i vestiti sono sulla sedia», balbettai imbarazzata.

«Perché quell’espressione triste?»

Mi schiarii la voce e gli diedi la schiena. «Come facciamo a tornare su Ebdor?»

«Non sei obbligata a venire. Posso andare da solo. Io voglio salvare Anne, tu invece potresti continuare la tua vita, dimenticare tutto. Magari con il tempo anche quel marchio sparirebbe.» Mi voltai troppo presto, trovandolo ancora con la camicia sbottonata. Invece di chiuderla, si avvicinò e mi prese il viso tra le mani. «Pensaci sul serio. Questo incubo per te potrebbe finire oggi.»

«No. Devo aiutare Aron, gliel’ho promesso. E poi, credi sul serio che per me terminerebbe qui? La Profezia mi ha già portato su Ebdor, potrebbe accadere di nuovo», obiettai, evitando di guardarlo negli occhi.

«La Profezia non esiste più, Saira.» Era troppo vicino. Sentivo il respiro caldo sfiorarmi le labbra, e non andava affatto bene. Quasi lo avesse intuito, mi lasciò. «Il ritorno sarà più complesso. L’energia che mi hanno dato non è stabile. Mi pulsa nelle vene, una sensazione opprimente. In tutta onestà, non sono certo di riuscirci.»

«Riuscirci? Non capisco… Ci riporterai tu indietro? Credevo lo facesse la principessa.» Dell’ultimo scontro non ricordavo molto. La successione degli eventi nella mia testa era confusa, offuscata da una nebbia bianca. «Devi raccontarmi ogni cosa.»

Fece un profondo respiro e, preso posto al centro del letto, mi porse una mano. «Solo se ti distendi al mio fianco.»

Sentii le guance avvampare. «Che… che razza di condizione!»

«Non sembravi così timida l’ultima notte. Sbaglio o volevi spogliarmi?», mi provocò. Alla mia espressione sbigottita, scoppiò a ridere. «Da quando sono entrato a casa tua sei tesa e inavvicinabile. Siamo sulla Terra, stiamo bene, non era ciò che sognavi? Voglio solo abbracciarti.»

Stupida. Quello era sempre Shu. Lo stesso ragazzo per cui avrei dato la vita. Eliminai ogni indugio e acconsentii. Il cambio di posizione mi provocò una fitta all’addome e un giramento di testa. Crollai al suo fianco, debole e sofferente. «Bene è troppo ottimistico.»

Mi cinse le spalle e scostò con delicatezza i capelli dalla fronte. «Non dovevi farlo. Buttarti su quella spada…» Le posizioni si erano invertite: adesso era lui nervoso. «Dopo aver bruciato Tri hai perso i sensi. Eri esanime, immersa in una pozza del tuo stesso sangue. Lyen si è precipitata per curarti, ma quella ferita era mortale.»

«Ma sono ancora qui», sottolineai, stringendogli le dita.

«Merito di Ilrian. Ha convogliato il potere residuo della Profezia su di te per fermare l’emorragia. Il tuo corpo era salvo, ma l’anima non era più lì, vagava in una dimensione astrale e stava per staccarsi del tutto dai vincoli della carne. È stata solo colpa mia. Se…» Si strinse al mio braccio e, dopo aver rifiatato, proseguì: «Se non mi fossi distratto, quel gesto estremo non sarebbe servito.»

«Dov’ero?», chiesi. «Come sono tornata? Ho uno strano ricordo.»

Ne parve stupito. «Cosa rammenti?»

«È questo il problema: vedo solo una distesa vuota, nebbia bianca. Se mi sforzo, un dolore lancinante mi fa desistere.»

Schiuse le labbra ma non parlò subito, cercò le parole giuste. «Ti ho cercata io. Mi hanno addormentato al tuo fianco, una tecnica simile a quella usata da Lyen per la mia memoria, e ho superato i veli di incoscienza fino a ritrovare la tua anima. La mia energia non era sufficiente, è stata Ilrian a donarmi il suo potere. Ha canalizzato ogni spiraglio di luce, consumando del tutto i cristalli dei guerrieri. Userò la forza rimasta dentro di me per tornare.»

«Ilrian si è sacrificata? Ma… sta bene?» Non potevo crederci. Tutti i dubbi, i sospetti, le recriminazioni contro di lei non avevano fondamenta. Possibile mi sia immaginata tutto?

«Lo ha fatto senza pensarci, per lei era ovvio aiutarti. L’ultima volta che l’ho vista era estremamente debole, non so cosa le sia accaduto poi.»

«Non potevamo restare lì? Se tornare sulla Terra era così complesso, perché mi hai portato a casa? In fondo dobbiamo tornare indietro.»

Esitò, indeciso sulla spiegazione da usare. «Lo desideravi così tanto… Non me la sentivo di privarti anche di questo.» Si schiarì la voce e proseguì: «Intendo che questa storia della Profezia ti ha già portato via troppo, meritavi di tornare a casa tua, fosse per un solo giorno.»

«Tornerò con te», definii. «Ci sono troppe cose rimaste in sospeso.»

«Qui hai una vita e una famiglia. Cosa dirai a tua madre?»

Cercai i suoi occhi. «La vedi forse? Sono sola, Shu. La mia famiglia siete diventati voi: tu, Aron, Lyen, Ilrian. Quello che ho vissuto mi ha cambiato per sempre. Tornerò quando tutto si sarà risolto.»

La mia affermazione sembrò turbarlo. Si rialzò, pensieroso, e si abbottonò la camicia. «Ti avevo promesso un hamburger. C’è un fast food qui vicino. Ti va?»

Quella reazione mi sorprese. Immaginavo fosse felice di sentirmi dire una cosa simile, dopotutto anche lui era solo quanto me, invece era vago, come se stesse nascondendo dei dettagli. «Devo cambiarmi.»

«Lascia stare. Stai benissimo anche così.» Mi prese per mano e non mi lasciò nemmeno arrivati in strada. Quelle attenzioni, prima confortanti, iniziavano a confondermi. «Non ti piace, vero?», chiese in seguito.

«A cosa ti riferisci?»

«Che ti tratti come la mia ragazza.» Deglutii senza rispondere. «Come immaginavo», mormorò infine. Mantenne una facciata serena, ma potevo leggergli la delusione nello sguardo. Mi sentivo in colpa, una sensazione già vissuta. Continuammo a camminare fianco a fianco senza aggiungere altro fino a quando, a pochi metri dal locale, lui si bloccò. «Perché mi hai salvato?», domandò. «Ti sei gettata su quella lama in mio soccorso senza rifletterci. Lo avresti fatto con chiunque?»

«Non ho pensato in quel momento, volevo soltanto che vivessi.»

Strinse i pugni, nervoso. «E di Aron che mi dici? Se fossi stato io al suo posto, mi avresti lasciato in quella grotta?»

«Dio, che razza di domande! Dove vuoi arrivare?»

Mi trafisse con un’occhiata. «Dimmelo.»

«E va bene… No, non ti avrei abbandonato. Avrei trovato un altro modo.»

Solo a quella risposta parve addolcirsi. «Hai ancora dubbi sui tuoi sentimenti?»

Ne avevo eccome, anzi, la sua insistenza non faceva altro che alimentarli. «Possiamo parlarne a casa, con calma. Non mi sembra proprio il posto adatto per certi argomenti», ribattei a disagio. Sapevo saremmo arrivati alla resa dei conti, l’ultima notte passata assieme aveva ridefinito il nostro rapporto, ma non ero pronta per affrontarlo. Volevo godermi le poche ore di libertà ancora a disposizione, non litigare. «Mi è passata la fame.» Le parole mi uscirono di bocca senza rendermene conto. Ormai il danno era fatto.

«Sono un idiota. Mi sto comportando come un ragazzino geloso, perdonami.»

Mi sentii in dovere di rimediare: «Ma dai, Ebraim è soltanto uno sbruffone pieno di sé. Non acconsentirò mai ai suoi folli progetti amorosi!»

«Già, c’è anche lui», gli sfuggì.

«Anche? A chi ti riferisci?»

«Se non hai fame torniamo a casa. Possiamo uscire più tardi.» Tentò di sviare il discorso, ma quelle parole mi rimasero impresse.

«Ti sembra che abbia decine di amanti? Se sì, mi piacerebbe conoscerli», eruppi sulla strada del ritorno. Lui non fiatò. Rimase in silenzio finché non varcammo la soglia. «Vuoi spiegarmi ora?», insistei.

«Eaner. Lo ami ancora?»

Sentire il suo nome continuava a ferirmi. «Eaner è morto», affermai secca.

«Competere con un morto è ancora più difficile, non avrò mai…»

«Smettila!», lo interruppi. «Eaner amava Zora. Era lei che si portava a letto e ha scelto lei fino alla fine.» Avevo il fiatone e la ferita faceva male.

«Non hai risposto alla mia domanda. Cosa provavi tu per lui?»

Ero allibita. «Non ho nessuna intenzione di tirare fuori questo argomento. È chiuso. In ogni caso, non sono affari tuoi!»

 

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© 2012 Lorena Laurenti  © 2017 Lorena Laurenti

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